Le FAQs (Frequently Asked Questions) sono le domande che più frequentemente vengono poste sull'HCC. Troverete in questo elenco temi di diagnostica, stadiazione e terapia. Si è cercato di utilizzare un linguaggio, ove possibile, comprensibile a tutti, anche se tutto risulterà più chiaro a Medici e studenti di Medicina. Tutti i punti dubbi verranno comunque chiariti a domanda, utilizzando l'e-mail.
1. Qual è l'epidemiologia dell'HCC?
2.
Quali sono i fattori di rischio?
La cirrosi epatica
L'abuso alcolico
altri fattori
3. Qual è l'esame obiettivo di un paziente con HCC?
4. Quali esami bioumorali sono alterati?
5. Che ruolo gioca la cirrosi?
6. Cos'è la displasia epatocitaria?
7. Come avviene la carcinogenesi?
8. Che ruolo diagnostico ha l'ecografia?
9. Che ruolo diagnostico ha la TAC?
10. È utile la Risonanza magnetica?
11. Qual è il ruolo diagnostico dell'angiografia?
14. Qual è il ruolo del trapianto?
15. Quali sono le indicazioni alla Chirurgia?
16. Qual è il ruolo terapeutico delle metodiche loco-regionali?
17. Qual è il ruolo terapeutico della chemioembolizzazione?
18.
Qual è la terapia medica dell'HCC?
Ormoterapia
Immunoterapia
Chemioterapia tradizionale
Immunoterapia
con interleukine e cellule LAK
Terapia
genica
Octreotide
Sorafenib
19. Ci sono possibilità di prevenzione?
1. Qual è l'epidemiologia dell'HCC?
Il carcinoma epatocellulare (HCC) costituisce nel mondo la 7° neoplasia nel sesso maschile e la 9° in quello femminile. L'incidenza annua mondiale è stimata intorno a 500.000-1.000.000 casi, con ampia variabilità a seconda dell'area geografica. Tra i paesi a mortalità più elevata quelli dell'Africa sub-sahariana, in alcune zone della quale il tumore raggiunge e supera una mortalità dell'80/100.000, e quelli dell'estremo oriente, quali Cina e Vietnam. L'Italia è un Paese ad incidenza intermedia (7,5/100.000 nei maschi; 2,4/100.000 nelle femmine), ma in essa vi sono aree ad alta incidenza come il Veneto dove, in relazione alla elevata esposizione a fattori di rischio per epatopatia, quali l'abuso alcolico e le infezioni virali, i tassi raggiungono valori di 30,2/100.000/anno per i maschi e 12,4/100.000/anno per le femmine. L'incidenza è in aumento in ogni parte del mondo, in dipendenza delle migliori tecniche diagnostiche, della diminuita mortalità per altre complicanze della cirrosi epatica e per un vero aumento di incidenza in relazione ad una epidemia di infezioni virali prima da HBV e poi da HCV nel periodo tra gli anni 40 e 60. Le stesse osservazioni valgono per la Regione Veneto, nella quale gioca anche un ruolo nell'alta mortalità l'esposizione a fattori ambientali e lavorativi quali il cloruro di vinile monomero. La prognosi dell'HCC è rapidamente infausta, con una sopravvivenza già a 2 anni inferiore al 10% ed ancora più grave nelle fasi avanzate di malattia, per le quali non è tuttora disponibile alcuna terapia efficace.
2. Quali sono i fattori di rischio?
L'incidenza dell'epatocarcinoma
è in aumento e la neoplasia vede tra i fattori etiopatogenetici più frequentemente
associati il virus dell'epatite C che ha gradualmente sostituito, almeno nei
paesi occidentali, il virus dell'epatite B. L'epatocarcinoma HCV-correlato è
l'esito finale di una malattia di lunga durata, silente per anni, associato
a cirrosi. Esistono evidenze preliminari che
l'HCV possa giocare un ruolo diretto nella carcinogenesi epatica, mediante transattivazione
genica, ma il meccanismo più rilevante è verosimilmente quello connesso alla
aumentata rigenerazione del processo di cirrosi in particolare, almeno sulla
base di dati in nostro possesso, quando correlata ad HCV. Sulla
base di proiezioni epidemiologiche l'incidenza di epatocarcinoma HCV-correlato
aumenterà nei prossimi anni per poi calare in modo netto grazie all'attivazione
di misure di prevenzione primaria e secondaria.
Dati epidemiologici e sperimentali hanno dunque dimostrato che l'infezione cronica
con HBV e HCV è il maggior fattore di rischio per lo sviluppo di HCC.
Quale dei due virus sia il fattore di rischio maggiore dipenderebbe dalle diverse
aree geografiche in cui gli studi epidemiologici sono condotti. In Cina per
esempio, il ruolo più significativo è svolto dall'HBV rispetto all'HCV, mentre
la situazione appare rovesciata in Giappone e in Europa ed intermedia negli
USA. In un recente studio è stato calcolato il rischio relativo per lo sviluppo
di HCC dovuto all'infezione da parte di HBV o HCV in un gruppo di pazienti del
Sudafrica. Per l'HBV si è visto che pazienti HBsAg positivi avevano un rischio
di sviluppare HCC 21.8 volte superiore ai soggetti HBsAg negativi. La positività
per Ab anti-HCV e per HCV-RNA associata ad HbsAg fa aumentare il rischio di
circa 14 volte rispetto ai soggetti negativi per entrambi questi marcatori,
mentre si è visto che la positività per entrambe i markers dell'HCV, senza coinfezione
con HBV, espone i pazienti ad un rischio circa 4 volte maggiore rispetto ai
soggetti negativi per tale infezione. Uno studio caso-controllo condotto qualche
anno fa in Italia ha rivelato che il rischio relativo di HCC era 21.3 in presenza
di anti-HCV positività e 13.3 in caso di HBsAg positività, dimostrando che la
situazione italiana è del tutto analoga a quella europea, con un rischio maggiore
oggi nei soggetti HCV positivi; questo rischio riflette un "ondata" epidemiologica
di soggetti con epatopatia cronica da virus C, contratta a seguito di una diffusione
epidemica verificatasi tra gli anni '45 e '60, che fa sì che oggi si osservi
appunto un aumento dell'incidenza di epatocarcinoma HCV-correlato, associato
ad un decremento dell'incidenza di epatocarcinoma HBV-correlato. Vi è inoltre
da ricordare come non si sia ancora giunti all'apice dell'"onda" di cui parlavamo,
e come sia previsto entro il 2008, un ulteriore aumento del 60% nell'incidenza
di HCC HCV-correlato.
É noto che la cirrosi epatica costituisce il fattore di rischio più importante per lo sviluppo di HCC, infatti la maggior parte dei casi di neoplasia insorge su fegato cirrotico. Tuttavia il rapporto esistente fra l'infezione virale e questo stadio di epatopatia non è stato frequentemente valutato. Sempre nello studio di Brechot et al, già più volte citato, emerge che, per quanto riguarda la positività dei marcatori virali e la presenza o meno di cirrosi epatica sottostante l'HCC, l'HBV e l'HCV si comportano in modo diverso. A parità di positività dei marcatori anticorpali per infezione da HBV ed antiHCV infatti, la positività per HBV-DNA non era statisticamente differente tra i pazienti con cirrosi epatica e quelli senza cirrosi epatica (45% di positività vs 25% nei due gruppi rispettivamente). Per l'HCV-RNA invece, la percentuale di positività era significativamente più bassa nei pazienti senza cirrosi (13%) rispetto ai cirrotici (51%). In questo lavoro inoltre, è stata valutata anche la presenza del genoma virale nel tessuto neoplastico ottenendo così dati molto più precisi sulla prevalenza dell'infezione da HCV nei pazienti con HCC in Europa. L'RNA virale è stato ritrovato nel tessuto epatico del 75% dei soggetti anti-HCV positivi e nel 25.5% di quelli anti-HCV negativi, con valori tendenzialmente inferiori a quanto osservato per l'HBV-DNA che è risultato presente nel 91% dei soggetti HbsAg positivi e nel tessuto del 47% degli HBsAg negativi. Pertanto, la negatività dei markers virali sierologici non esclude che il virus possa essere presente a livello tissutale e possa quindi, anche in questi pazienti, giocare un ruolo nel processo carcinogenetico a conferma di quanto precedentemente riportato.
L'abuso di alcol costituisce un altro importante fattore di rischio per HCC, sia in quanto agente etiologico di una discreta fetta delle cirrosi, sia come cofattore rilevante della carcinogenesi epatica anche in soggetti con infezione da HBV o HCV. Per questi motivi, se l'abuso alcolico in quanto tale è da combattersi, in soggetti con epatopatia cronica virale il consumo di alcol è assolutamente da proscrivere.(Approfondimento "ALCOL ed EPATOCARCINOMA")
Tra gli altri fattori coinvolti nel rischio di carcinogenesi epatica sono le aflatossine (approfondimento "AFLATOSSINE e HCC"), tossine prodotte da un micete, l'aspergillus, che contamina le derrate alimentari in paesi a clima umido, del terzo mondo, ove la tossina gioca un ruolo rilevante, il sesso maschile, dato che il tumore presenta una incidenza di 3-4 volte superiore nei maschi e l'utilizzo di ormoni steroidi, in particolare al giorno d'oggi a scopo anabolizzante nelle pratiche sportive deleterie. Agli attuali dosaggi, la pillola anticoncezionale non si associa ad un aumentato rischio di HCC.
3. Qual è l'esame obiettivo di un paziente con HCC?
Anamnesi ed esame obiettivo
sono importanti per l'oncologo. Alcuni fattori come la familiarità per i tumori,
la razza, l'età e il sesso contribuiscono alla diagnosi finale e influenzano
le strategie terapeutiche. L'aspetto fisico del paziente può dare una visione
dello stato della malattia epatica. Il colorito giallastro della cute e delle
sclere (ittero) si ha quando aumenta la bilirubina nel sangue per un malfunzionamento
del fegato, delle vie biliari o della colecisti. Questa condizione, detta colestasi,
può portare ad una colorazione scura delle urine e a feci chiare, cretacee (ipocoliche).
Il fegato viene esaminato attraverso la palpazione del quadrante superiore dell'addome
(ipocondrio destro). Tale esame si attua a paziente supino e rilassato. Il medico
comincia la palpazione dalle regioni più basse dell'addome muovendosi verso
l'alto apprezzando la forma e la consistenza del fegato. Le dimensioni del fegato
devono essere stimate anche stimando la posizione della cupola, attraverso la
percussione (mettendo un dito a piatto nello spazio intercostale e percuotendolo
con un altro dito). É necessario inoltre, esaminare l'eventuale presenza di
ascite (liquido che si accumula nell'addome in caso di epatopatia scompensata).
Altri segni suggestivi della presenza di epatopatia cronica, spesso dimostrabili
quindi in pazienti con HCC sono la ginecomastia (ingrossamente delle ghiandole
mammarie), gli spiders nevi (puntini rossi con piccole diramazioni al tronco-volto
che se compressi, si riempiono nuovamente di sangue rapidamente a partire dalla
loro zona centrale, circoli venosi collaterali all'addome, aumento di volume
della milza, ecchimosi ed ematomi alle gambe o alle braccia/mani, eritema palmare,
ipertrofia delle parotidi, deformità a "bacchetta di tamburo" delle dita, edemi
declivi, perdita della normale distribuzione dell'apparato pilifero (in particolare
nel maschio, dovuta a squilibri ormonali) e retrazione dell'aponevrosi palmare
(Malattia di Dupuytren). Sarebbe poi descritto un segno specifico della presenza
di HCC e cioè un soffio sistolico auscultabile sull'aia epatica, dovuto alla
ricca vascolarizzazione arteriosa del fegato neoplastico.
L'esame obiettivo include una valutazione dei linfonodi ascellari e sopraclaveari
(sopra la clavicola) per determinare se sono ingranditi , ciò potrebbe indicare
un coinvolgimento degli stessi nel tumore. Se c'è nell'anamnesi un tumore già
diagnosticato in precedenza, la localizzazione primitiva (per es. colon, retto,
mammella) del tumore potrebbe essere valutata obiettivamente per determinare
se la malattia è recidivata.
4. Quali esami bioumorali sono alterati?
Il marcatore tumorale caratteristico
per l'HCC è l'alfafetoproteina (AFP). L'AFP è prodotta anche
durante il periodo fetale ma diminuisce stabilmente e diviene normale dai 6
ai 12 mesi di età. Questa sostanza è prodotta dai pazienti con epatocarcinoma
o tumori a cellule germinali. La percentuale di pazienti con HCC che presenta
valori elevati di AFP è estremamente variabile nei vari studi (30-90%) e i pazienti
con epatocarcinoma possono avere livelli che vanno da valori appena sopra il
normale (più di 14 ug/ml) fino a 1.000.000 ug/ml. Bisogna tuttavia ricordare
come un modesto aumento dei valori dell'AFP può avvenire anche in pazienti con
malattie non tumorali come la cirrosi o le epatiti virali. Come il CEA, AFP
è usata per monitorare l'efficacia del trattamento del tumore nei pazienti con
epatocarcinoma e tumori delle cellule germinali. Livelli aumentati di questi
marcatori sono associati con la crescita tumorale, ma l'assenza di una elevazione
non può essere interpretata come assenza di tumore.
É invece generalmente ammesso che l'AFP presenti valore prognostico al tempo
0, nel senso che a parità di stadiazione del tumore o a parità di trattamento,
i pazienti con AFP elevata tendono a presentare prognosi peggiore (approfondimento
"ALFAFETOPROTEINA").
Non esistono allo stato attuale altri marcatori routinariamente utilizzati per
l'HCC, anche se sono stati proposti alcuni marcatori apparentemente efficaci,
quali l'AFP fucosilata o altri.
É chiaro poi che, dato che l'HCC nel 90% dei casi si associa a cirrosi, saranno
alterati tutti i marcatori di danno epatico, quali transaminasi, fosfatasi alcalina,
gammaGT, protidemia totale e frazionata, tempo di protrombina, emocromo e piastrine,
colesterolo, glicemia, ferritina, elettroliti plasmatici ed urinari.
Talvolta poi l'HCC, anche se raramente, si associa a quadri sintomatici particolari,
definiti sindromi paraneoplastiche, con ad esempio ipercalcemia o diarrea da
rilascio di specifici mediatori ormonali.
5. Che ruolo gioca la cirrosi?
L'epatocarcinoma (HCC),
neoplasia con incidenza in aumento in tutti i paesi nei quali esista una registrazione
accurata della mortalità, è associato a cirrosi in una percentuale di casi che
raggiunge o supera il 90% a seconda che si tratti di casistiche mediche o chirurgiche.
La cirrosi epatica, che fornisce allo sviluppo del tumore il necessario sfondo
di aumentata proliferazione cellulare, costituisce quindi una condizione precancerosa
da considerarsi praticamente obbligata ed evolve in neoplasia con un tasso annuale
variabile tra il 2 e il 5% per anno, con rischio maggiore in pazienti con eziologia
virale o in particolare con eziologia che veda il sovrapporsi di molteplici
fattori di rischio, come ad esempio associazione di HCV
ed HBV.
Queste ultime evidenze hanno portato da tempo ad un utilizzo generalizzato di
metodiche di sorveglianza, per la neoplasia in pazienti con cirrosi epatica,
basate sull'utilizzo di ecografia e dosaggi seriati
dell'alfafetoproteina (AFP), l'unico marcatore tumorale utile
per l'HCC. Nonostante numerose evidenze a favore dell'utilità di questo approccio,
esistono in realtà segnalazioni che mettono in dubbio l'efficacia di tale approccio,
in considerazione soprattutto della elevata percentuale di casi nei quali la
neoplasia risulta comunque non chirurgicamente aggredibile ed in considerazione
della mortalità per il tumore comunque elevata, anche perché in larga misura
condizionata dalla ridotta funzione del fegato cirrotico.
Nella nostra esperienza tuttavia, lo screening con il dosaggio routinario dell'alfafetoproteina,
associato ad ecografia, metodica come atteso dimostratasi assai più utile del
solo dosaggio del marcatore, si è dimostrato in grado di portare ad una diagnosi
significativamente più precoce (con stadiazione alla diagnosi migliore utilizzando
sistemi di stadiazione quali Okuda, TNM
e CLIP, con inferiore numero di noduli neoplastici, con
diametro dei noduli stessi significativamente inferiore, con possibilità di
approccio terapeutico più aggressivo e con prognosi significativamente migliore
di quanto ottenibile senza questo approccio). Il tutto tra le altre cose a costi
che, sia considerando il solo screening, sia aggiungendo anche i costi terapeutici,
rimangono del tutto ragionevoli. Questi nostri dati sono tra le altre cose stati
recentemente confermati da un uno studio multicentrico italiano che ha raccolto
circa 1000 casi di HCC, portando a risultati grosso modo sovrapponibili.
Tuttavia, i dati che derivano dagli studi sulla storia naturale dell'HCC e i
dati derivanti dai numerosi studi di sorveglianza nella cirrosi sembrano suggerire
che sia lo sviluppo di epatocarcinoma, sia la sua successiva crescita siano
estremamente variabili e che esistano in realtà due popolazioni di pazienti
con cirrosi epatica, la prima ad elevato rischio di HCC e la seconda a basso
rischio, e due tipi di HCC, uno a crescita rapida ed uno estremamente indolente,
fatto che ha spinto alla ricerca di fattori che potessero risultare prognostici
del rischio di evoluzione ad HCC e della successiva crescita neoplastica. É
infatti evidente come l'identificazione di marcatori atti a discernere le due
situazioni potrebbe essere estremamente utile nel modulare gli approcci di sorveglianza.
In effetti parametri connessi al paziente ed all'eziologia della malattia ci
aiutano in parte (rischio più elevato nei maschi e nei pazienti con infezione
virale singola o in particolare duplice) ma è verosimile che l'intervento possa
essere ancor più mirato.
In questa direzione sono ad esempio assai rilevanti i dati prodotti sull'identificazione
e follow-up della displasia epatocitaria.
6. Cos'è la displasia epatocitaria?
I dati prodotti sull'identificazione
e la sorveglianza della displasia epatocitaria, alterazione citologica ed architetturale
del fegato ormai da considerarsi, in particolare sulla base dei dati prodotti
da vari autori come un utile indicatore di aumento di rischio neoplastico sono
molto interessanti. La diagnosi di displasia epatocitaria è tuttavia assai soggettiva,
poco diffusa tra i patologi, la sua rilevanza dipende anche dal fatto se la
biopsia del fegato sia stata eseguita su lesione nodulare, e cioè su di un chiaro
bersaglio ecografico, o meno e non è ancora del tutto chiaro se sia più rilevante
la presenza di displasia a piccole o a grandi cellule.
Considerazioni simili possono essere fatte anche per il riscontro della presenza
di noduli macrorigenerativi nel contesto di una cirrosi epatica. Se si è ormai
tutti d'accordo che il riscontro ecografico di un nodulo in cirrosi, anche in
assenza di conferma istologica di malignità indica un elevato rischio di trasformazione
neoplastica incipiente o già avvenuta, non esiste accordo sostanziale sulla
definizione dei noduli, sull'associazione con displasia o sulle indicazioni
diagnostiche e terapeutiche sono ancora dubbie.
Un diverso approccio, non strettamente morfologico può essere costituito dal
tentativo di identificazione di marcatori biologici di rischio.
Altre metodiche sono state infatti proposte nel tentativo di identificare indici
"biologici", quali ad esempio la citoproliferazione, e cioè l'indice di moltiplicazione
degli epatociti, e la ploidia e cioè il contenuto di DNA della cellula, che
è diploide in condizioni normali e aneuploide in condizioni patologiche. Dati
interessanti sono stati recentemente pubblicati a riguardo. In effetti le due
metodiche avrebbero consentito di identificare pazienti con cirrosi ad elevato
indice di citoproliferazione ed elevato rischio di trasformazione neoplastica
e avrebbero dimostrato come gli epatociti del tessuto cirrotico adiacente ad
HCC presentano frequentemente aneuploidia, associata a displasia ed aumentata
citoproliferazione. Dal nostro punto di vista, abbiamo documentato un aumentato
indice di citoproliferazione in pazienti con epatopatia cronica da virus C,
che aumenta ulteriormente alla comparsa di cirrosi e che potrebbe rendere conto,
almeno in parte dell'aumentato rischio di HCC di questi pazienti, nei quali
un meccanismo diretto di cancerogenesi quale quello caratteristico dell'HBV,
sia pure suggerito da recenti evidenze in letteratura, non è sicuramente chiaramente
accertato. Tra le altre cose, sempre nella nostra esperienza, questo aumento
della citoproliferazione non è associato ad un consensuale aumento dell'apoptosi,
meccanismo di morte cellulare programmata, che controbilancia in condizioni
fisiologiche la citoproliferazione, inducendo pertanto uno squilibrio tra i
due.
7. Come avviene la carcinogenesi?
L'ultimo capitolo della
ricerca sull'HCC si è aperto con l'inizio della ricerca nell'ambito degli oncogeni,
e cioè di quei geni che, venendo alterati o espressi in maniera patologica condizione
l'evoluzione tumorale della cellula, e dei geni oncosoppressori, e cioè dei
geni che, mutati o soppressi fanno perdere alla cellula il normale controllo
della proliferazione, come potenziali marcatori di rischio neoplastico nella
cirrosi. Dati certi sull'utilità di questo tipo di marcatori, quali una serie
di oncogeni o geni oncosoppressori come p53, il bcl-2, il K-ras, c-myc, C-erbB-2,
Insulin-like growth factor II, la beta-catenina, associata a perdita di eterozigosi,
ed altri non sono sinora emersi, anche se esistono in letteratura evidenze che
suggeriscono una loro potenziale utilità, basata sul coinvolgimento di questi
oncogeni o fattori di crescita nei meccanismi di carcinogenesi epatica, in particolare
quando virus-indotti. In ogni caso il loro utilizzo è ancora ben distante dall'applicazione
clinica.
Sempre nell'ambito dei marcatori biologici di rischio, dati preliminari da noi
recentemente prodotti sembrano suggerire che l'accumulo di danno genomico ossidativo,
misurato valutando il danno indotto sul DNA da radicali liberi tramite la determinazione
dell'8-OH-dOG (8-idrossi deossiguanosina), possa indicare un aumentato rischio
di evoluzione neoplastica in pazienti con epatopatia cronica HCV-correlata,
indicando anche il danno da radicali liberi come potenziale meccanismo di carcinogenesi
epatica.
L'utilizzo di questi marcatori biologici di rischio potrebbe tra le altre cose
consentire un approccio alla prevenzione primaria dell'epatocarcinoma su cirrosi.
8. Che ruolo diagnostico ha l'ecografia?
L'ecografia usa gli ultrasuoni
e non le radiazioni ionizzanti per ottenere un'immagine. Un gel viene applicato
alla pelle in regione sottocostale destra in corrispondenza del fegato e successivamente
viene applicata una sonda. La sonda emette ultrasuoni che attraversano il corpo
e successivamente li riceve e li trasmette ad un computer ove vengono convertiti
in immagini di organi e tessuti.
Considerato che l'ecografia è semplice, economica e non invasiva, rappresenta
uno dei primi esami utilizzati durante il processo di stadiazione. Sfortunatamente,
i risultati di questo esame dipendono dall'ecografista, dall'ecografo e dalla
costituzione del paziente. L'ecografia può non identificare tutti i tumori in
tutti i casi nei quali questo è presente e la sensibilità e la specificità dell'esame
variano in ragione dei parametri sopra descritti.
L'ecografia può essere effettuata in ospedale o ambulatorialmente. La maggior
parte delle ecografie richiedono pochi minuti il referto viene ottenuto immediatamente.
Nei pazienti con l'epatocarcinoma l'ecografia è usata per determinare la localizzazione
e le dimensioni del tumore e per stabilire se è solido o cistico.
In aggiunta, l'ecografia è un importante modalità che può essere usata durante
l'intervento chirurgico (ecografia intraoperatoria),
esame che dovrebbe essere utilizzato in tutti i pazienti che devono essere sottoposti
ad intervento chirurgico sul fegato. La sonda essendo, in questo caso, posta
direttamente sul fegato al momento dell'intervento fornisce informazioni che
influenzano le strategie terapeutiche e sono in generale molto più accurate
di quelle ottenibili ad addome chiuso. Tutti i chirurghi che si occupano di
fegato dovrebbero essere in grado di effettuare un'ecografia intraoperatoria.
Dai primi anni novanta,
l'ecografia si avvale dell'utilizzo di mezzi di contrasto che ne aumentano la
capacità diagnostica. Il loro impiego è stato dapprima rivolto
ad aumentare i segnali Doppler provenienti da strutture vascolari e dalla rete
neovascolare tumorale; successivamente lo sviluppo delle tecnologie di imaging
armonico ha reso possibile la visualizzazione delle microbolle direttamente
nel microcircolo ematico, aprendo nuove prospettive nello studio delle lesioni
tumorali e della perfusione dei parenchimi. Limpiego di algoritmi ultrasonori
specifici in combinazione con mezzi di contrasto di seconda generazione, caratterizzati
da una maggiore elasticità e resistenza, offre di effettuare unindagine
contrastografica dinamica in tempo reale durante tutta la fase perfusionale,
per la quale è stato coniato il termine di angioecografia perfusionale.
Nella pratica clinica la metodica viene oggi utilizzata in molti centri, incluso
il nostro, come immediato e diretto completamento dellecografia convenzionale,
soprattutto nello studio delle lesioni focali epatiche.
Oltre alle capacità diagnostiche, l'ecografia consente l'esecuzione di biopsie
ecoguidate, che garantiscono una elevata accuratezza diagnostica e di metodiche
terapeutiche ecoguidate quali l'alcolizzazione e le radiofrequenze.
9. Che ruolo diagnostico ha la TAC?
La TAC utiliza l'immagine radiologica del fegato ed il contrasto ottenuto mediante la somministrazione di opportuni mezzi iodati che visualizzano opportunamente le strutture epatiche. Le cellule epatiche normali ricevono la maggior parte del loro apporto di sangue dalla vena porta mentre il tumore epatico riceve la maggior parte del suo apporto ematico dall'arteria epatica. Perciò, l'iniezione di mezzo di contrasto nella vena porta potrebbe evidenziare le cellule normali del fegato e contrastare il fegato normale. Contrariamente dopo somministrazione del mezzo di contrasto endovenoso, in una fase precoce che per definizione è arteriosa il tumore apparirà iperintenso. Questo test definisce abbastanza accuratamente il numero di lesioni presenti e la loro relazione con i vasi del fegato, informazioni importanti per pianificare le strategie di trattamento. L'esame viene ora eseguito con macchinari (detti TAC spirale o elicoTAC che consentono scansioni molto rapide e di conseguenza alla definizione delle diverse fasi angiografiche dell'esame stesso. Questa indagni viene utilizzata anche per quantificare la risposta ai diversi trattamenti locoregionali, quali la PEI o le Radiofrequenze. La TAC spirale ha attualmente sostituito l'angiografia come metodica di studio più accurata.
10. È utile la Risonanza magnetica?
La risonanza magnetica
nucleare (RMN) è una delle tecnologie più avanzate disponibile attualmente ed
è generalmente considerata più sicura di altre metodiche perché non è invasiva
e perché non richiede l'utilizzo di radiazioni ionizzanti. La RMN utilizza onde
magnetiche per creare le immagini degli organi interni e dei tessuti. Questo
esame è frequentemente usato quando le immagini ottenute alla tomografia computerizzata
non sono chiare.
Durante il processamento delle immagini, il magnete eccita gli atomi di idrogeno
nelle cellule corporee. In cambio questo atomo di idrogeno rilascia scariche
elettriche che vengono captate dallo scanner e trasformate in immagine. Sono
necessarie una serie di scansioni per ricostruire un area isolata. La RMN è
particolarmente sensibile per il tessuto epatico ed è capace di evidenziare
la vascolarizzazione epatica senza utilizzo di mezzo di contrasto.
La RMN viene solitamente effettuata in regime ambulatoriale. Il paziente viene
fatto stendere su di un tavolo che scorre all'interno di un macchinario fatto
a tunnel. I pazienti che soffrono di claustrofobia potrebbero trovare delle
difficoltà ad eseguire tale esame. Per tutta la durata dell'indagine il paziente
deve rimanere rilassato e calmo. La macchina emette un rumore che può essere
particolarmente fastidioso.
Stanno attualmente divenendo disponibili RMN ultraveloci che grazie alle scansioni
particolarmente rapide ed all'utilizzo di mezzi di contrasto, quali il gadolinio,
garantiscono accuratezza diagnostica simile se non superiore alle TAC spirali
bifasiche veloci.
11. Qual è il ruolo diagnostico dell'angiografia?
Contrariamente alla angioTAC,
l'angiografia viene di solito eseguita con un ricovero. Viene somministrata
l'anestesia locale prima di inserire il catetere nel vaso nell'inguine e la
punta del catetere viene posizionata in vicinanza del fegato e viene iniettato
il mezzo di contrasto. Subito dopo viene eseguita la registrazione radiologica
delle immagini. Questo esame fornisce informazioni dettagliate su numero e localizzazione
dei noduli epatici. Di solito l'esame dura fino ad un ora e il paziente deve
rimanere in ospedale per 6-8 ore sotto osservazione per prevenire eventuali
complicanze.
Grazie ai progressi nelle metodiche TAC l'angiografia in quanto tale è praticamente
abbandonata nella diagnosi dell'HCC, tanto quanto la scintigrafia. Il suo uso
è limitato, con l'utilizzo del lipiodol come mezzo di
contrasto a fissazione selettiva nel tessuto neoplastico ed in associazione
alla TAC spirale, in fase di stadiazione preoperatoria o in fase terapeutica
nel paziente con malattia multifocale (chemioembolizzazione
lipiodol-mediata o TACE).
Molte volte viene eseguita
perché fornisce informazioni utili per la diagnosi di tumore. La biopsia prevede
il prelievo di un piccolo campione di tessuto che viene poi esaminato al microscopio.
Le cellule normali hanno una struttura precisa ed ordinata e sono differenti
dalle cellule tumorali che sono invece caotiche e malformate. Esaminando le
cellule al microscopio, il patologo può determinare la presenza di cellule malate
e l'estensione della loro invasione.
La biopsia è usualmente eseguita in day hospital. Talvolta viene somministrato
un anestetico locale prima che un ago sottile venga inserito nel nodulo tumorale
e che venga asportato un campione di tessuto che può essere costituito da cellule
( e si parlerà quindi di prelievo citologico) o da tessuto in toto, per quanto
di piccole dimensioni ( e si parlerà di prelievo istologico). In alcuni casi
vengono eseguiti entrambi i campionamenti. La biopsia può essere eseguita con
l'ausilio dell'ecografia o della tomografia
computerizzata o usando la laparoscopia, ma sicuramente la biopsia ecoguidata
per la sua semplicità velocità e per i bassi costi e rischi per il paziente
è la tecnica di scelta. Vi sono dei limiti alla sua esecuzione in presenza ad
esempio di ascite, di calo troppo importante del tempo di protrombina (<50%)
o delle piastrine (>50.000).
I rischi sono in effetti minimi, se la biopsia viene eseguita correttamente
sotto controllo ecografico continuo, con complicanze nell'1% dei casi, di cui
quelle gravi o mortali sono una esigua frazione. Deve infine essere detto che
nei casi in cui la diagnosi è già chiara (ad esempio una massa con caratteristiche
di ipervascolarizzazione all'Ecografia con mezzo di contrasto e/o TAC e/o RMN,
in cirrosi con AFP > 200-400 ug/ml) la biopsia non è necessaria.
Il tumore primitivo del
fegato (o tumore epatocellulare) e il tumore dei dotti biliari intraepatici
(colangiocarcinoma) sono malattie che avvengono quando il tumore origina nel
fegato e non diffonde da altri organi. In Asia e Africa, il tumore epatocellulare
è il tumore maligno più comune e frequentemente si sviluppa in pazienti che
hanno la cirrosi epatica.
La stadiazione è una parte del processo diagnostico e consiste nella raccolta
dettagliata di informazioni sul tumore per determinare il suo stadio di sviluppo.
La stadiazione è decisiva nel determinare se il tumore è avanzato. L'esatto
stadio del tumore può determinare le opzioni terapeutiche. Per determinare lo
stadio del tumore il medico usa una serie di procedure diagnostiche per valutare
il tipo di tumore, le dimensioni e la localizzazione o la diffusione ad altre
regioni del corpo.
Durante la stadiazione, il tumore è analizzato e classificato concordemente
ad uno specifico sistema di classificazione dei tumori. Il sistema più utilizzato
è chiamato "TNM".
"T" classifica le dimensioni del tumore ed è seguita da un numero da "1" a "4".
"T1" per esempio, indica un tumore relativamente piccolo. "T4" rappresenta un
tumore avanzato o multiplo in entrambi i lobi del fegato. "TX" è usato per indicare
un tumore inclassificabile (cioè un tumore che non può essere adeguatamente
classificato perché non può adeguatamente classificato). "N" classifica i linfonodi.
"NO" indica che non c'è coinvolgimento linfonodale nel tumore. "N1" indica che
il tumore ha coinvolto i linfonodi. "NX" significa che i linfonodi non sono
identificabili. "M" identifica la diffusione del tumore agli altri organi (metastatizzazione).
I pazienti con stadio I hanno più probabilità di essere curati rispetto a quelli
con stadio IV.
Ogni tipo di tumore ha criteri specifici di stadiazione. Generalmente diversi
stadi possono essere riassunti in questo modo:
Stadio I: Localizzato e resecabile -Presenza di un unico nodulo che può essere trattato chirurgicamente.
Stadio II: Localizzato e possibilmente resecabile - Presenza di uno o più noduli che possono essere trattati chirurgicamente. La decisione sulla terapia chirurgica dipende dall'esperienza del medico.
Stadio III: Avanzato - É presente più di una localizzazione nel fegato e in altre parti del corpo. Frequentemente richiede terapia multipla per ottenere il massimo beneficio. Spesso una resezione chirurgica non porta benefici al paziente.
Stadio IV: Disseminato - Coinvolgimento di più organi da parte del tumore. Frequentemente, la chirurgia non è indicata e la chemioterapia è una opzione migliore.
Questa classificazione
non è standardizzata per tutti i tipi di tumore. É consigliato al paziente di
consultare il medico per una esatta interpretazione della stadiazione.
La Stadiazione clinica dell'epatocarcinoma è in realtà più complessa di quella
di altri tumori.
Nella stadiazione di un paziente con epatocarcinoma infatti è necessario valutare
non solo le caratteristiche della neoplasia, ma anche i parametri di funzionalità
epatica, che al pari dei primi influiscono sulla prognosi e sull'atteggiamento
terapeutico.
Il sistema di stadiazione attualmente più frequentemente utilizzato è quello
di Okuda. Tale classificazione proposta nel 1985 si basa
sulle dimensioni del tumore e sulla severità della cirrosi. I segni di gravità
considerati da Okuda sono la massa tumorale superiore al 50% del volume epatico,
la presenza di ascite, l'ipoalbuminemia e l'aumento dei valori sierici di bilirubina.
La presenza o meno di questi segni permette di identificare tre stadi.
La stadiazione dell'epatocarcinoma secondo i criteri TNM che sembra correlarsi
discretamente bene con le curve di sopravvivenza, presenta peraltro qualche
incongruenza specialmente nella definizione del tumore primitivo, comprendendo
ad esempio nello stadio T2 neoplasie senza e con invasione vascolare. La classificazione
UICC pTNM modificata da Izumi et al. nel 1994 evidenzia la presenza di 4 stadi
sulla base di alcune caratteristiche quali: il numero dei noduli e la presenza
di metastasi intraepatiche, la dimensione dei noduli, l'invasione vascolare,
la presenza di metastasi linfonodali e di metastasi a distanza.
Tale classificazione, rispetto alla stadiazione TNM originaria, ha il pregio
di possedere maggiore significatività in rapporto alla sopravvivenza a lungo
termine.
Un nuovo score prognostico per i pazienti con HCC su cirrosi è il CLIPscore
ricavato da uno studio retrospettivo multicentrico effettuato su 435 pazienti.
Come l'Okuda, questo sistema di stadiazione considera contemporaneamente sia
caratteristiche della neoplasia sia dello stadio della funzionalità epatica;
sono presi in considerazione, infatti, il numero dei noduli e l'estensione della
neoplasia, lo stadio dell'epatopatia (espresso con lo score di Child-Pugh),
i livelli di AFP, e la presenza o meno di trombosi portale. Secondo gli Autori,
nello studio originale al quale il nostro gruppo ha partecipato, tale sistema
di stadiazione identificava una classe di pazienti con prognosi apparentemente
migliore ed una con spettanza di vita relativamente minore, dimostrando così
una maggiore capacità discriminante rispetto all'Okuda. Questi dati sono stati
recentemente confermati sia da un nostro studio su esperienza singola che ha
confermata l'utilità del CLIP score, anche nella stadiazione di pazienti che
saranno poi trattati in modo omogeneo, nella nostra esperienza mediante TACE,
sia da uno studio prospettico portato a termine sempre dal gruppo CLIP e pubblicato
su Hepatology.
E' anche molto utilizzata la classificazine BCLC (Barcelona-Clinic Liver Cancer)
che propone un sistema di stadiazione con valore prognostico: i pazienti con
HCC sono stratificati in 4 categorie considerando lo score Okuda, il Chil-Pugh,
il Performance Status e il numero e la dimensione dei noduli, inoltre lo staging
viene collegato all'indicazione al trattamento.
(Approfondimento "HCC
e STAGING")
14. Qual è il ruolo del trapianto?
Il trapianto ortotopico di fegato (OLTx) ha vissuto vicissitudini varie per quanto attiene ad indicazioni e risultati nel paziente con HCC. Dopo una prima fase, durante la quale i pazienti con HCC avanzato sono stati sottoposti a OLTx nella considerazione che i risultati ottenibili non erano noti ed i pazienti avevano comunque una prognosi infausta a breve termine, che ha portato a risultati assai scoraggianti, la metodica sta vivendo ora una fase di grande crescita. Studi recenti hanno infatti più volte confermato che, se i pazienti con HCC vengono adeguatamente selezionati, la procedura si correla ad una sopravvivenza a 5 anni tanto buona quanto quella ottenibile in pazienti trapiantato per patologia benigna. I criteri di selezione (un nodo singolo di diametro inferiore a 5 cm o fino a 3 noduli di diametro inferiore a 3 cm, in assenza di invasione vascolare o linfonodale e di metastasi a distanza, sono derivati dal un lavoro di Mazzaferro sul NEJM del 1995 che ha messo le basi per l'odierna metodica di selezione. Rimangono ovviamente molti punti da chiarire ed alcune considerazioni di ordine generale da citare. I punti da chiarire sono in particolare se il trapianto in questi pazienti debba essere associato a chemioterapia neo-adiuvante o adiuvante, se la biopsia sia controindicata per il rischio di ripresa sul tramite dell'ago dopo OLTx, come affrontare il problema dell'attesa in lista. Le considerazioni generali si riferiscono in particolare alla carenza di organi disponibili, che limita in molti centri l'accesso ai pazienti con neoplasia, proprio per la difficoltà di gestire dal punto di vista medico il paziente in lista d'attesa e per il problema della gestione della lista stessa se si decide di anticipare il trapianto nei pazienti neoplastici. L'introduzione di metodiche trapiantistiche diverse, quali lo split-liver, il living related donor e, in un domani, l'utilizzo di fegati da animali transgenici potranno forse dare una risposta a questa problematica particolarmente scottante. Recenti dati in letteratura suggeriscono comunque che l'OLTx vada comunque indicato in sottogruppi ristretti di pazienti, mentre in pazienti con buona riserva funzionale e specifiche caratteristiche, la resezione, e forse altre metodiche loco-regionali costituiscano ancora una valida alternativa.
15. Quali sono le indicazioni alla Chirurgia?
Ogni paziente con HCC deve
essere in prima istanza valutato per un trattamento chirurgico resettivo. La
chirurgia è infatti l'unico trattamento assieme al trapianto che fornisce speranze
di cura. Il problema è che pochi sono in realtà i pazienti candidabili per una
resezione chirurgica del tumore l fegato è un organo del tutto peculiare che
presenta, in condizioni normali la capacità di rigenerare dopo la rimozione
chirurgica di una sua parte sino a raggiungere nuovamente il suo volume originario.
In effetti, quando ad esempio i chirurghi hanno bisogno di asportare delle metastasi
su fegato sano o quando vengono trattati chirurgicamente i rari tumori primitivi
del fegato insorti sempre su fegato sano, la percentuale di fegato asportabile
con successo e restituzione alla normalità del fegato può raggiungere l' 80%
con una mortalità operatoria inferiore al 5%.
La situazione è in realtà totalmente diversa nei pazienti, che sono la stragrande
maggioranza (>90%) nei quali il tumore insorge come complicanza della cirrosi
epatica. In questo caso il fegato ha in larga misura perso la sua capacità
rigenerativa e la percentuale di fegato asportabile è, di conseguenza assai
inferiore. Sempre in questa situazione, complicanze post-operatorie anche gravi
insorgono con percentuale assai rilevante. Tra queste scompenso ascitico (con
edemi declivi), disturbi emocoagulativi con quadri di coagulazione assai deficitaria,
insorgenza di encefalopatia epatica, con disturbi della coscienza anche gravi,
e talvolta sanguinamento da varici esofagee, la cui entità può essere aggravata
dall'intervento chirurgico. Queste complicanze possono esitare, in una percentuale
di casi che varia tra il 2 e il 10%, a seconda dell'esperienza del centro chirurgico
e dei criteri di inclusione dei pazienti, in mortalità perioperatoria.
Questa situazione fa si che il paziente da candidare ad intervento resettivo
per HCC su cirrosi debba essere accuratamente selezionato.
Le indicazioni attuali sono:
- paziente di età inferiore ai 65 anni (criterio tuttavia non assoluto;
andrà tenuta in considerazione soprattutto l'età biologica del paziente
più che quella anagrafica);
- nodo singolo inferiore ai 5 cm in posizione chirurgicamente aggredibile
o due nodi se vicini (nello stesso segmento di fegato) e in posizione sempre
periferica;
- cirrosi epatica compensata e cioè in assenza di ascite poco trattabile,
encefalopatia, turbe gravi della sintesi epatica e cioè nella situazione cosi
detta di Child A, secondo la classificazione di Child-Pugh; deve comunque essere
valutata la funzione epatica;
- deve anche essere presa in considerazione, come detto, l'eventuale ipertensione
portale associata. Pazienti con varici esofagee a rischio, di grosse dimensioni
(F2-F3), potranno essere trattati in modo profilattico, mediante sclerosi o
legatura, prima dell'intervento chirurgico di resezione.
Tra le controindicazioni
devono essere elencate:
- la presenza di trombosi portale, che di solito in questi pazienti è di natura
neoplastica, anche se alcuni chirurghi operano anche se la trombosi
è molto periferica e il tratto interessato dalla trombosi rientra nella
porzione di fegato da resecare;
- la presenza di metastasi a distanza, peraltro assai rare clinicamente nel
paziente con HCC.
I tipi di intervento chirurgico
che possono essere eseguiti sono una lobectomia, praticamente quasi mai possibile
nel cirrotico, delle segmentectomie, e cioè l'asportazione di uno o due degli
otto segmenti nei quali è stato diviso anatomicamente il fegato o resezioni
atipiche, dette anche "wedge resection". In ogni caso dovrà esserci almeno un
centimetro di fegato "sano" tra la trancia di sezione ed il tumore. Sono attualmente
eseguiti anche interventi per via laparoscopica.
In tutti i casi nei quali non si verifichino le condizioni di cui sopra, sarà
opportuno pensare ad un diverso tipo di trattamento
16. Qual è il ruolo terapeutico delle metodiche loco-regionali?
Apriamo ora il capitolo delle metodiche terapeutiche loco-regionali. L'iniezione percutanea di etanolo (PEI) consiste nell'iniezione intratumorale di etanolo sotto guida ecografica. L'alcol induce una necrosi coagulativa del tessuto neoplastico. Il paziente ideale per la PEI deve avere al massimo due o tre lesioni di diametro inferiore a 5 cm con funzione epatica discreta (Child A o B), assenza di metastasi o invasione vascolare, tempo di protrombina >40% e conta piastrinica superiore a 40.000/uL. La PEI è vantaggiosa perchè non aggrava la funzione epatica e presenta basse morbilità e mortalità e la sua efficacia è stata confermata da plurimi studi internazionali ed italiani. Più di recente sono state introdotte altre metodiche di trattamento locoregionale tra le quali la termoablazione mediante radiofrequenze (RFA), la laserterapia interstiziale, l'iniezione intratumorale di acido acetico o di chemioterapici. Tra tutte, quella che sta avendo più sviluppo e che in taluni centri, a torto o a ragione, sta sostituendo la PEI è la termoablazione mediante radiofrequenze. Questa si basa sull'utilizzo di aghi radioemittitori di calibro piuttosto rilevante, raffreddati ad acqua o correlati da uncini (a seconda dei modelli) per aumentare il diametro dell'area di termonecrosi e vincere il problema dell'impedenza tissutale che ne limita l'efficacia. Gli aghi rimangono infissi nella lesione per tempi variabili ma comunque prolungati e la metodica richiede l'utilizzo della sedazione profonda o dell'anestesia con intubazione del paziente, a seconda della scelta fatta nei singoli centri. Il vantaggio principale sta nel fatto che con una, massimo due sedute, il trattamento può considerarsi concluso, con una buona efficacia e lo svantaggio sta nei costi della procedura e nella necessità di un setting più impegnativo da organizzare. Stanno emergendo nuovi dati sul confronto di efficacia tra PEI e RFA che considerano sopravvivenza, recidiva locale, costi e qualità della vita: da questi si evince un miglior risultato ottenuto con la RFA. (Approfondimento "Trattamento percutaneo dell'HCC")
17. Qual è il ruolo terapeutico della chemioembolizzazione?
La TACE
è una metodica terapeutica ampiamente usata nei pazienti con HCC sia come unico
trattamento nei tumori inoperabili, sia come adiuvante o neoadiuvante in associazione
a terapie radicali come la resezione chirurgica o il
trapianto.
La tecnica consiste nella cateterizzazione selettiva dell'arteria epatica, raggiunta
per via femorale o ascellare, seguita dall'iniezione intra-arteriosa di chemioterapico,
emulsionato con lipiodol. Infine, in particolare se riesce
una cateterizzazione selettiva o superselettiva e viene raggiunto il ramo arterioso
che alimenta la/le lesioni tumorali, si procede alla embolizzazione con particelle
di gelfoam o spugna di fibrina.
I presupposti razionali che sostengono tale metodica sono:
1. il tessuto tumorale
per oltre il 90% trae la propria ossigenazione dall'albero arterioso, mentre
il parenchima normale la trae per il 75% dal sistema portale. L'embolizzazione
induce un'ischemia selettiva nell'area neoplastica, senza modificare il flusso
portale, e nello stesso tempo realizza un'elevata concentrazione tissutale locale
di chemioterapico;
2. il lipiodol viene captato per lungo tempo dal tessuto neoplastico, a causa
di un ridotto wash-out secondario ad irregolarità dei vasi tumorali e all'assenza
di cellule di Kupffer nell'HCC;
3. emulsionando il chemioterapico (cisplatino, mitomicina, adriamicina, mitoxantrone)
con il lipiodol, si ottiene un lento rilascio ematico del farmaco con il massimo
degli effetti terapeutici ed il minimo degli effetti collaterali.
Indicazioni alla TACE sono:
- il paziente non operabile
con tumore di diametro piccolo non alcolizzabile;
- il tumore di dimensione superiore ai 5 cm in paziente con cirrosi in stadio
A o B di Child;
- il tumore a noduli multipli;
- il tumore comunque non raggiungibile da chirurgia, PEI o RFA.
Controindicazioni alla
TACE sono invece: la classe C di Child-Pugh, la presenza di trombosi portale
o di ipertensione portale grave con inversione di flusso nella vena porta o
con fistole artero-portali e la presenza di metastasi a distanza.
Tale terapia si dimostra efficace soprattutto se i cicli vengono ripetuti nello
stesso paziente a distanza di 3-6 mesi l'uno dall'altro. Inoltre quando l'iniezione
di chemioterapico viene completata dall'embolizzazione, il risultato terapeutico
è nettamente superiore, valutato in termini di riduzione della massa (percentuale
di necrosi ottenuta).
I dati della letteratura non concordano per ciò che riguarda l'effetto della
TACE sulla sopravvivenza dei pazienti. Infatti sono stati pubblicati alcuni
studi prospettici, randomizzati che non confermano il prolungamento di sopravvivenza
dei pazienti trattati rispetto ai controlli pur in presenza di un discreto risultato
in termini di necrosi tumorale. Questi risultati potrebbero essere in realtà
dovuti a variabili insite nella difficoltà di randomizzare pazienti sostanzialmente
diversi, con tumori diversi e caratteristiche biologiche e cliniche degli stessi
diverse, tecniche di chemioembolizzazione diverse da centro a centro (negli
studi multicentrici). Questi risultati
devono comunque essere tenuti in considerazione e l'efficacia della metodica
dovrebbe essere riconfermata. Nella nostra esperienza pazienti con neoplasia
multifocale trattati mediate TACE hanno avuto una sopravvivenza a 5 anni del
30%, dato apparentemente di gran lunga superiore a quanto atteso sulla base
dei dati, per quanto storici di sopravvivenza di questo tipo di pazienti (approfondimento
"TACE").
La TACE tra l'altro, si associa comunemente allo sviluppo di alcuni effetti
collaterali, fra i quali: la cosiddetta sindrome post-embolizzazione, condizione
autolimitantesi, caratterizzata da febbre e dolore addominale di variabile intensità.
Spesso si associano un aumento degli indici di citolisi epatica e nausea. La
febbre post-TACE sembrerebbe non essere dovuta ad infezione batterica, ma alla
necrosi tumorale estesa e sarebbe indice di favorevole risposta al trattamento.
18. Qual è la terapia medica dell'HCC?
Quello che segue è un tentativo di schematizzazione della situazione attuale.
Antiestrogeni (Tamoxifene).
I presupposti biologici di questo trattamento stanno nella ormono-dipendenza della proliferazione epatocitaria benigna e maligna; nella presenza di recettori (wild-type, mutated) nell'epatocita; nell'attività biologica specifica del tamoxifene non mediata dal recettore per gli estrogeni su fattori di crescita, proteine medianti i processi di citoproliferazione. La situazione per quanto riguarda la terapia medica dell'epatocarcinoma mediante tamoxifene (TMX) è la seguente: sono stati pubblicati una serie di studi prospettici randomizzati e controllati (Farinati et al, Martines Cerezo et al, Elba et al., Manesis et al.) che confermavano una efficacia terapeutica del farmaco. Più di recente Castells et al. in un RCT in doppio cieco su 120 pazienti con HCC non altrimenti trattabile non hanno confermato i dati percedenti e simili risultati ha ottenuto uno studio CLIP al quale il nostro gruppo ha anche partecipato. Sono in corso studi con megestrolo, altro farmaco ad azione antiestrogena ma i risultati devono essere ancora pubblicati in estenso.
Antiandrogeni
I presupposti dell'utilizzo di questi farmaci stanno sempre nell' ormonodipendenza della proliferazione neoplastica del fegato anche per gli androgeni, e nella presenza di recettori ormonali nell'epatocita. Gli antiandrogeni sono inutili nella terapia del'HCC, conclusione basata su tre studi che hanno utilizzato antiandrogeni (Manesis et al., Yee Chao et al. e Grimaldi et al.) se non addirittura dannosi.
É stato utilizzato l'interferone
sul presupposto di ottenere uno stimolo della risposta immune cellulo-mediata
anti-tumorale, una stimolazione espressione antigeni HLA ed una attività anti-proliferativa.
Lai et al. in un trial clinico randomizzato su 75 pazienti ha ottenuto un aumento
non significativo della sopravvivenza nei trattati con IFN e con sopravvivenza
ad 1 anno del 15% nei trattati versus 0% nei controlli. Sempre lo stesso autore
in uno studio simile ma con confronto verso best supportive care ha anche riportato
un aumento non significativo della sopravvivenza con tuttavia deterioramento
psichico in 6 pazienti trattati.
Infine Falkson et al. in uno studio randomizzato con IFN versus chemioterapia
ha ottenuto un aumento non significativo della sopravvivenza sempre con effetti
collaterali neurologici ed ematologici.
L'efficacia di questo trattamento, quale che sia il protocollo utilizzato è molto ridotta, e gli effetti collaterali gravi .
Immunoterapia con interleukine e cellule LAK
Siamo ovviamente nell'area delle ricerche e prospettive future. I presupposti biologici di questi approcci sono il tentativo di potenziamento risposta immune cellulo-mediata antitumorale. Gli studi sono sperimentali. Skolnick et al. in uno studio di Fase II in 57 pazienti con HCC non altrimenti trattabile, mediante somministrazione di IL-2 e.v. o in arteria epatica (13 pz.), in associazione a cellule LAK e.v. o intra arteria ha ottenuto il 23% di risposte obiettive, con riduzione di volume superiore al 50% nel 5% dei pazienti trattati. Nel 54% dei casi si è comunque osservata progressione. La qualità di vita dei pazienti è migliorata nel 37% dei casi.
Tra i presupposti di questo
approccio sono il tentativo di aumentare l'immunogenicità tumorale con l'introduzione
di geni per neo-antigeni. La correzione di alterazioni genetiche, ad esempio
mediante l'introduzione di p53 wild-type, l'amplificazione della risposta immune
mediante l'introduzione di geni per interleuchine o TNF o iniezione di linfociti
autologhi geneticamente modificati o infine l'aumento della sensibilità della
cellula a farmaci, mediante l'introduzione di geni "suicidi" che metabolizzano
a composti tossici gli xenobiotici non tossici.
Siamo in una fase sperimentale ma alcuni dati preliminari sembrano promettenti
( Schuster MJ et al.).
Sostanza utilizzata allo scopo di bloccare la crescita neoplastica mediante approccio recettore-mediato. La situazione attuale vede un solo studio di Kouroumalis et al con octreotide in 58 pazienti con HCC avanzato non altrimenti trattabile e con una sopravvivenza mediana di 13 mesi nei trattati versus 4 mesi nei non trattati.
Molecola in grado di interferire con i processi angiogenetici dell'HCC: infatti, è un inibitore della proliferazione cellulare del tumore attraverso la via Raf-1 kinasi ed ha effetto antiangiogenetico agendo direttamente sui recettori della tirosin-kinasi. Studi controllati randomizzati in pazienti con HCC in stadio avanzato hanno dimostrato un incremento della sopravvivenza media di circa 10.7 mesi rispetto a 7.9 mesi dei controlli. Questi risultati promettenti sono gravati comunque da effetti collaterali importanti che richiedono, quindi, di un'accurata scelta del paziente a cui somministrare il farmaco. ("Sorafenib ed epidemiologia", "Sorafenib e meccanismo d'azione")
19. Ci sono possibilità di prevenzione?
L'utilizzo dei marcatori
biologici di rischio, tra i quali gli oncogeni
ed i geni oncosoppressori, potrebbe tra le altre
cose consentire un approccio alla prevenzione primaria dell'epatocarcinoma su
cirrosi, approccio peraltro già suggerito come possibile da studi pubblicati
dal gruppo di Muto nella prevenzione della recidiva in pazienti operati, mediante
trattamento con un retinoide aciclico, l'acido poliprenoico. Anche in questo
caso tuttavia siamo ancora ben distanti dall'utilizzo clinico di questa o di
altre sostanze il cui uso è stato suggerito come potenzialmente utile (ad esempio
tamoxifene, megestrolo acetato
o seocalcitolo).
1. Prevenzione
primaria
Nel corso degli ultimi anni sono stati pubblicati una serie di studi, tranne
rare eccezioni mai prospettici randomizzati, che hanno suggerito l'efficacia
del trattamento con interferone nei pazienti con cirrosi HCV nella prevenzione
primaria dell'HCC. L'efficacia in alcuni di questi era limitata ai soli pazienti
"responders" in altri veniva suggerita anche una efficacia nel non
responder. Sulla base dei dati disponibili sembra ragionevole concludere, anche
vista la plausibilità biologica, che il trattamento con interferone possa
prevenire nei pazienti responders almeno, anche se non con efficacia totale,
l'insorgenza di HCC nei pazienti con cirrosis HCV-correlata.
2. Prevenzione
secondaria: screenare o non screenare?
L'AISF indica, nelle linee guida per la diagnosi e la terapia dell'HCC, tra
i concetti chiave nel capitolo sulla diagnostica, che "lo screening e la
sorveglianza dei pazienti a rischio di epatocarcinoma sono utili perché
permettono di identificare il tumore quando è ancora piccolo e perché
progressi nel trattamento dell'HCC possono essere fatti solo diagnosticando
tumori piccoli e poco invasivi". In realtà a questo concetto chiave
si arriva senza che sia stato esaminato compiutamente il problema e il capitolo
sembra essere affrontato più compiutamente, anche se succintamente, nelle
linee guida EASL che sostengono che l'efficacia dello screening nel ridurre
la mortalità specifica per malattia non è provata, che probabilmente
non sarà mai provata vista l'impossibilità di condurre studi prospettici
randomizzati per l'elevato rischio di contaminazione, almeno nel mondo occidentale,
ma che una serie di studi sembrano confermare al di là di ogni ragionevole
dubbio che la sorveglianza è efficace e costo/efficiente. A proposito
giova anche ricordare che un grosso studio policentrico italiano nell'Am.J.Gastroenterology
al quale noi stessi abbiamo partecipato conferma la riduzione di mortalità
nei cirrotici screenati, anche dopo correzione per il lead time bias e che una
nostra esperienza su casistica di dimensioni inferiori ma comunque ragguardevole
conferma l'efficacia ma dimostra anche che i costi per anno di vita salvata
sono relativamente modesti, anche quando vengono inclusi i costi terapeutici.
Deve infine essere sottolineato che secondo l'EASL l'efficacia dello screening
in soggetti in Child B è controversa. Ancora una volta, a riguardo i
nostri personali dati suggeriscono che, se l'HCC è diagnosticato in fase
precoce, lo stato di Child non fa una grossa differenza nella sopravvivenza
a medio termine e che le curve di sopravvivenza dei pazienti in Child A e B
sono sostanzialmente simili. (Approfondimento
"Prevenzione
dell'HCC")
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